“Un risultato, quello del Jobs Act,
decisamente insoddisfacente, che dimostra la sua spaventosa inefficienza se
consideriamo la quantità di risorse spese per la creazione di nuova
occupazione. A fronte di 6,1 miliardi di euro spesi nel solo 2015 si registrano
poco più di 100 mila occupati aggiuntivi.
Un rapporto costi, benefici decisamente sproporzionato”. E' quanto
calcolato dagli uffici fisco e finanza pubblica e mercato del lavoro della CGIL
nazionale. Il report analizza gli effetti del Jobs Act sull'occupazione a
partire dagli esiti che i due provvedimenti fiscali, decontribuzione e
deduzione Irap, entrambi previsti nella legge di Stabilità 2014, hanno avuto
sulla riduzione della disoccupazione. Il
governo ha speso 6,1 miliardi di euro nel 2015 per generare un incremento di
circa 100 mila posti di lavoro su 800 mila posti persi dall'inizio della crisi,
di questi il 60% a tempo determinato. Gli oltre 6 miliardi di euro,
usciti dalle casse dello Stato nel 2015 per stimolare l'occupazione, sono il
risultato della somma del costo della decontribuzione, pari a 3,4 miliardi di
euro lordi (i contratti che hanno beneficiato dell'esonero sono stati circa 1,5
milioni), più 2,7 miliardi derivanti dalle deduzioni sull'Irap. Inoltre, gli
uffici fisco e finanza pubblica e mercato del lavoro della CGIL, avvertono che
nel 2016 e nel 2017 i costi saranno rispettivamente di 8,3 e di 7,8 miliardi.
Per la Cgil “non si
possono affidare al mercato circa otto miliardi di euro all'anno nella
convinzione che le imprese, attraverso l'abbattimento dei costi, siano capaci
di aumentare il numero degli occupati. Se volessimo utilizzare le stesse
risorse dei due provvedimenti citati in investimenti pubblici e per creare
direttamente occupazione, specie giovanile e femminile, si potrebbero generare
molti più posti di lavoro”. La CGIL,
infatti, ha calcolato nel suo Piano del
Lavoro che stanziando dieci miliardi all'anno per tre anni, attraverso
investimenti e assunzione diretta in settori non esposti alla concorrenza, si
verrebbero a creare circa 740.000 posti di lavoro, tra pubblici e privati.
“L'unica modalità concepita dal Governo per uscire dalla crisi sembra essere
quella di abbassare salari, occupazione e diritti del lavoro, quando invece per
creare valore aggiunto occorre aumentare la quantità e la qualità del lavoro
come della produzione”.
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